Month: August 2014

LUX IN ARCANA, LUX IN ARCHIVIO.

di Giuditta Giardini

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Il vuoto che il riposo estivo lascia nelle nostre giornate porta spesso ad interrogarci su questioni irrisolte. Qualche tempo fa, leggendo dell’Inquisizione italiana e delle eresie, lasciai un appunto sulla mia Moleskine: “roghi a Fano?” e poi “streghe?”. Lo spleen fanese e il cattivo tempo del luglio appena trascorso mi fecero ritornare sul punto e mentre mi interrogavo sul da farsi come un Dante rodiniano, qualcuno, forse il vento, mi suggerì di consultare la sezione fanese dell’Archivio di Stato. Non ero mai stata prima d’ora all’Archivio, né sapevo dove fosse o chi lo popolasse. Forse non tutti sanno che sotto l’ala sinistra dell’entrata cortilata della Biblioteca Federiciana, dinnanzi alla nobile dimora dei Castracane, in quel piccolo uscio incorniciato da bianca pietra, riposano le memorie della nostra cittadina. La piccola sala lettura non è che un’ombrosa appendice dell’interdetto deposito dove, a detta dei simpatici archivisti, migliaia di volumi interamente scritti a mano giacciono scaffalati uno sopra l’altro. Dopo qualche ora passata tra annotazioni di spese per roghi e antiche querelles tra popolane che si ingiuriavano ora chiamandosi putana mordace ora fattucchiera, cominciai a divagare dal videlicet dei discorsi diretti incastonati nel rigore ferreo di abbreviatissimi formulai processuali latini e posai gli occhi su di uno spesso volume aperto sul tavolo. Fu così che venni introdotta allo Zonghi, così è detta la Bibbia dell’Archivio, fu infatti l’eponimo Monsignor Zonghi nel 1888 a catalogare, di buona lena, l’intero contenuto dell’archivio, commentandolo pure, come a dire: io l’ho letto. Una volta approfondita questa conoscenza venni iniziata ai segreti dell’Archivio, gli zelanti archivisti mi dissero che il vanto del luogo sono i Codici Malatestiani, una sorta di sommo libro mastro della seconda metà del trecento che solo pochi eletti sanno ancora leggere. Mi presentarono, en passant, l’archivio notarile (1364-1873), molto più esteso e srotolarono davanti ai miei occhi  increduli decine di pergamene (dal 1173) sussurrandomi come neppure l’Amiani ebbe mai il privilegio di conoscerle tutte. Scorsi il dito sui dictat di Innocenzo VIII e Alessandro VI, sui loro sigilli vermigli ad orma dell’anello papale ed infine una pergamena di un vanaglorioso CAESAR mi sbarrò la via. Era il Borgia, signore di Fano, che con quel diploma olografo e autografo (1502) concedeva alla comunità sette anni di esenzione dal pagamento del dazio della pesa, del frumento, del vino e dazione in perpetuo degli introiti dell’ufficio del Danno Dato e altre agevolazioni. Mi nutrii di ciò che affascinerebbe un giurista e sedurrebbe uno storico: scoloriti Statuti del XV secolo, verbali di consigli cittadini, la celeberrima Beneficenza Nolfi e un macro-antifonario di San Paterniano con musiche mai più suonate. Mentre, mai paga, sfogliavo il Liber Maleficiarum del 1495 trovai un piccolo schizzo di due streghe (forse) e mi immaginai il pubblico ufficiale tutto intento a disegnarle ed ugualmente in un Cabreo del 1584, recante le topografie dei possedimenti della Chiesa di San Michele, sorpresi un coniglio e un cane incisi velocemente, che mi fecero cogliere il guizzo vitale latente che scorre tra queste logore pagine con quel sapore di uno “ieri” mai veramente passato che rendere il tutto sempre presente. Con un tonfo e poi un altro e un altro ancora si chiudono i volumi che ritornano nei loro polverosi vani, dove saranno riaperti chissà quando e mentre riconsegno il primo statuto cittadino (ivi conservato), osservo i tanti commenti a margine e i cartigli disegnati dal copiatore distratto che mi ricordano le stanche glosse ai miei appunti universitari.