IL MIO TEMPO VERRA’

Riflessioni sull’ultimo Gustav Mahler di Tiziano De Felice

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Compositore, direttore, prima ebreo, poi cristiano, provinciale, cosmopolita, uomo solitario e allo stesso tempo padre di famiglia, ultimo grande sinfonista ed erede della tradizione musicale occidentale di fine ‘900… Certo non è semplice inquadrare un autore dalle mille sfaccettature come Gustav Mahler (1860-1911) all’interno di un contesto musicale, certamente non sarebbe appropriato farlo in poche righe, ma poiché penso che la sua musica possa ancora essere di grande interesse per noi ascoltatori, sotto molteplici aspetti, credo che conoscere ed imparare ad amare (o se vogliamo, “apprezzare”) almeno una sua composizione sia quantomeno doveroso. Paradossalmente inizierò proprio dalla fine, dalla sua Nona ed ultima sinfonia e nello specifico l’Adagio, il movimento finale. La chiave di questa mia scelta risiede nell’indiscussa attualità del suo messaggio. Vedremo infatti come il XX secolo sia stato il secolo della morte per eccellenza e come Mahler ne fu il suo indiscusso profeta. Al XX secolo, così infestato dalla presenza DELLA morte, includerei anche il secolo precedente, con la sua poetica ossessione VERSO la morte, da Keats e la sua “Ode a un Usignolo” (… e mai come adesso m’è sembrato ricco il morire) a Wagner con il “Tristano e Isotta” e l’iconica scena della morte d’amore (liebestod). In fin dei conti, riflettendoci bene, ogni secolo ha affrontato a suo modo il problema della mortalità. Quindi, alla domanda, perché proprio il XX secolo? Ecco perche’: perché mai prima di allora l’uomo si era confrontato con il devastante concetto di una morte su scala globale. La morte totale, l’estinzione di un’intera razza. E Mahler, consapevole di essere prossimo al capolinea, non era l’unico a condividere quella visione: come lui la pensavano Einstein, Freud e Wittgenstein, tutti inconsciamente avevano allineato il proprio pensiero. Stesso sermone, ma con parole diverse: attenti a ciò che fatel’Apocalisse sta arrivando. Perdita di ogni fede e anni inquieti, simili ad una tragedia scritta male.

Atto I: ipocrisia e brama di potere portano il popolo verso una guerra mondiale, ingiustizia e isteria postbellica e via, di corsa verso il II atto. Funghi atomici, crisi di mercato e boom, muri di cemento, cortine di ferro, accendi/spegni, mass media, i nuovi guru e, le mode e religioni alla moda… tutto sempre sotto lo sguardo dell’angelo della morte planetaria.

Che cosa fa dunque l’uomo del 1908 consapevole di tutto questo, una persona nevrotica, ipersensibile come Mahler, con un piede ancora saldamente ancorato nell’obsoleto clima tardo-ottocentesco ed un altro che cerca nuovi sentieri nel nuovo secolo, quello della psicanalisi e della modernità? Che cosa fa? Profetizza, sperando che qualcuno colga le briciole sparse sul sentiero. E numerose menti in seguito lo fecero: Stravinskij, Brecht, Picasso, Dali’ o Camus, Nabokov, Capote… la lista prosegue. Opere generate dall’angoscia e dal timore, tutte che aggirano la morte. Tutto ciò Mahler l’aveva già visto ed ecco perché si aggrappò fino all’ultimo al IX secolo. L’ironia è che lui ci riuscì ad evitare il XX secolo, ma soltanto con la sua morte prematura, nel 1911. La morte tocca ogni composizione di Mahler e fu la sua Nona Sinfonia a diffondere il messaggio definitivo, che però poco importò al resto del mondo. Musica troppo onesta, troppo rivelatrice per un’orecchio viziato (figuriamoci per un orecchio “moderno” come il nostro!). Ma allora, quale tipo di messaggio porta con sé il Finale di questa sinfonia? Quello di tre tipi di morte: in primis la sua, di cui era consapevole, oramai imminente, poi la morte della tonalità musicale, arrivata alla sua massima estensione, al suo punto di rottura. L’intera Nona Sinfonia è un addio alla musica occidentale come la conosceva Mahler, un ballo febbrile sul bordo del precipizio. Infine, la morte della società e della nostra cultura “faustiana”. Ma dopo simili sconfortanti presagi, come abbiamo fatto allora a sopravvivere fino ai giorni nostri? Impariamo ad accettare la nostra mortalità eppure perseguiamo sempre un altro obiettivo: l’immortalità. Anche in mezzo alla tragedia più grande continuiamo a credere in un futuro. Lo stesso vale per Mahler. Emergiamo con una maggiore serenità e fiducia dalla tragedia, quasi risollevati, grazie alla sola forza della creatività e la voglia di proseguire. Tutto questo avveniva nel 1908, nell’Europa dell’inconscio, che proprio mentre ballava i suoi ultimi valzer stava generando l’uomo nel suo stadio finale: l’uomo che progetta la sua distruzione mentre allo stesso tempo si lancia verso il futuro. L’Adagio della Nona sinfonia non è che una rappresentazione sonora dell’ultimo grande crepuscolo occidentale, il quale paradossalmente ci rianima e solleva. Negli ultimi istanti, se ascoltiamo bene, cessa ogni tipo di movimento, vi è un congelamento ed un’immobilità di spirito, una condizione di pura meditazione. Una preghiera finale rivolta all’arte e la società, l’ultimo corale di Mahler. Una preghiera fatta di una silente accettazione, dove l’autore si prostra completamente, senza indugi. Dopo aver tentato ogni possibile strada, non resta che la rassegnazione mentre ci avviciniamo alla morte vera e propria, arrendendoci all’inevitabile. Infine, paralizzati dalla lentezza e dalla terrificante immobilità delle ultime battute di musica, in uno stato tra la speranza e la completa sottomissione, assistiamo impotenti agli ultimi filamenti di note mentre scompaiono tra le nostre dita ed infine, il silenzio.

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